[28/12/2024, 09:00] Sergio D’Ascenzo: Geremia 8:19-9:2

“Perché hanno provocato la mia ira con le loro immagini scolpite e con vanità straniere? …”

“[19] Ecco il grido d’angoscia della figlia del mio popolo da terra lontana: «Il Signore non è più in Sion? Il suo re non è più in mezzo a lei?» «Perché hanno provocato la mia ira con le loro immagini scolpite e con vanità straniere?» [20] «La mietitura è finita, l’estate è trascorsa e noi non siamo salvati». [21] Per la piaga della figlia del mio popolo io sono tutto affranto; sono in lutto, sono in preda alla costernazione. [22] Non c’è balsamo in Galaad? Non c’è laggiù nessun medico? Perché dunque la piaga della figlia del mio popolo non è stata medicata? [9:1] Oh, fosse la mia testa piena d’acqua e i miei occhi una fonte di lacrime! Io piangerei giorno e notte gli uccisi della figlia del mio popolo! [2] Oh, se avessi nel deserto un rifugio da viandanti! Io abbandonerei il mio popolo e me ne andrei lontano da costoro, perché sono tutti adùlteri, un’adunata di traditori.”.

Il modo in cui Geremia continua ad annunciare le disgrazie che arrivavano sul popolo di Giuda a causa del giudizio di Dio, stavolta prendono forma in un grido di lamento, di angoscia, di una giudea che da terra lontana (forse dalla stessa Babilonia in cui sarebbero finiti in esilio), o comunque del popolo stesso, che osserva addolorata il suo paese, le condizioni in cui versa Sion, quello che una volta era il luogo di riferimento spirituale di tutto Israele per il culto al solo vero Dio! (19) Com’è possibile che si sia ridotto così?

Ma è Dio stesso che entra in questo lamento e risponde in modo chiaro e perentorio: «Perché hanno provocato la mia ira con le loro immagini scolpite e con vanità straniere?»!

Continua, stavolta con rassegnazione, la giudea (o comunque il popolo) rendendosi conto che anche il tempo è passato, i cicli della vita e delle stagioni sono proseguiti come Dio li ha fissati, ma senza che loro ne potessero beneficiare: «La mietitura è finita, l’estate è trascorsa e noi non siamo salvati». (20)

A questo punto, nella scena della narrazione profetica, sembra essere lo stesso Geremia a prendere la parola ed esprime il suo dolore, il suo lutto, la sua sofferenza per le condizioni in cui versa il suo popolo! (21)

Seguono delle domande retoriche, delle quali sono ovvie le risposte, che servono perciò a sottolineare la condizione del popolo e la follia dell’essersi messi contro Dio che li ha sempre amati, liberati, conservati, tutelati, ammaestrati, guidati …
No, non c’è modo di lenire le ferite del popolo (22), non c’è medico che sia in grado di aiutarla nel suo dolore, che possa medicare le sue piaghe …

Così, anche nel capitolo successivo, Geremia continua il lamento amaro … Se la mia testa fosse un serbatoio pieno d’acqua, non smetterei di piangere a dirotto, i miei occhi diventerebbero una fonte che sgorga lacrime senza sosta … “piangerei giorno e notte gli uccisi della figlia del mio popolo!” (9:1)

Se trovassi un rifugio lontano, anche nel deserto per allontanarmi, lo farei perché non c’è speranza che si ravvedano, che cambino le cose: “abbandonerei il mio popolo e me ne andrei lontano da costoro, perché sono tutti adùlteri, un’adunata di traditori.”! (2)

Mi sono fermato a riflettere su come avrei reagito io se tutti attorno a me mostravano di essersi persi nel peccato, se non avessero mostrato alcuna intenzione di ravvedersi e cambiare atteggiamento …
Cosa avrei fatto se mi fossi ritrovato da solo? Avrei condiviso il peccato degli altri o me ne sarei tenuto lontano?
Pensavo alla raccomandazione di Paolo ai cristiani di Corinto, quella cioè di non preoccuparsi troppo della societa umana e pagana nella quale viviamo, quanto piuttosto di non condividere il peccato, non avere a che fare con chi, pur dichiarandosi fratello in Cristo, vive però nel peccato come tutti i pagani … (1 Cor. 5:11).

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